venerdì 16 ottobre 2015

Il pittore misterioso di via di Pallacorda

Via di Pallacorda
(foto Marco Gradozzi)
Via di Pallacorda è una strada del rione Campo Marzio, tra via del Clementino e piazza Firenze. Seguendo il tracciato che parte da via del Clementino, quasi in prossimità di piazza Firenze, ci si trova di fronte a un garage piuttosto elegante, un luogo che, come spesso succede nel centro storico di Roma, ha vissuto più volte. Infatti, prima di essere occupato dal garage, il sito fu sede del Teatro della Pallacorda (1715-1936). E prima ancora, all’inizio del Seicento, lo stesso luogo era occupato da un capannone in legno all’interno del quale si giocava la pallacorda, l’antenato del tennis: fu proprio nei pressi di quel capannone che Caravaggio ferì a morte Ranuccio Tomassoni (29 maggio 1606), colpendolo con una piccola spada «nel pesce della coscia» (Ranuccio morì dissanguato perché la spada di Caravaggio colpì la zona dei genitali). Secondo alcune fonti la lite tra i due esplose per motivi legati al gioco, mentre secondo altri Caravaggio volle dare una lezione allo strafottente Ranuccio. Il tragico episodio cambiò completamente la vita del pittore, che, costretto a scappare da Roma, visse da fuggitivo gli ultimi anni della sua vita (†1610). 

La morte di Giacinto
(seguace del Caravaggio,
prima metà del Seicento)
Mettendo un momento da parte la cronaca nera, vorrei parlare di Giovanni di Andrea dell’Anguillara (1517-1572), uno scrittore che nel 1561 aveva pubblicato una particolare versione delle Metamorfosi di Ovidio. Nella sua opera alcuni miti erano stati completamente rielaborati, come ad esempio quello di Apollo e Giacinto. L’antico mito dei due amici (riproposto da Ovidio) descriveva l’ineluttabilità del destino: Apollo e Giacinto si erano sfidati nel lancio del disco ma lo strumento, lanciato da Apollo, prese una strana traiettoria a causa di Zefiro; il disco colpì mortalmente Giacinto alla testa; Apollo cercò di riportare in vita il ragazzo ma non poté nulla contro il destino; per celebrare il ricordo del giovane compagno Apollo fece nascere un fiore, simile al giglio ma rosso come il sangue di Giacinto, sui petali del quale scrisse le lettere del suo dolore (ai ai). Ebbene, nell'opera di Giovanni di Andrea dell’Anguillara la morte del giovane Giacinto non fu provocata da un disco ma dalla “palla solida” utilizzata nel gioco della pallacorda. Questo mito “attualizzato” ebbe talmente successo che fu subito riproposto da vari pittori, tra cui un anonimo seguace del Caravaggio, che realizzò il dipinto pochi anni dopo la tragica lite di via di Pallacorda. Addirittura, secondo alcuni, l’autore potrebbe essere stato presente al fattaccio svoltosi presso il capannone (forse era Francesco Boneri, conosciuto anche come “Cecco del Caravaggio”). In tal caso la citazione sarebbe duplice: la versione del mito di Apollo e Giacinto raccontata da Giovanni di Andrea dell’Anguillara e il fatto di cronaca visto “dal vivo”. 

La morte di Giacinto
(Tiepolo, 1752)
La stessa versione del mito fu dipinta da Giambattista Tiepolo nel 1752; anche in questo caso una racchetta da pallacorda è presente sulla scena.

La freccia indica il Teatro della
Pallacorda (Nolli, 1748)
Il Teatro della Pallacorda

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