sabato 30 aprile 2016

Bernini a palazzo Antamoro

Il portone di palazzo Strada.
(foto M. Gradozzi)
La bella fontana all'interno del cortile di Palazzo Antamoro (via della Panetteria 15) fu una delle ultime produzioni artistiche di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680). L’opera fu realizzata nel 1667, quando Paolo Strada, proprietario del palazzo e cameriere segreto di papa Clemente IX Rospigliosi (1667-1669), ottenne un collegamento al condotto dell’Acqua Felice che alimentava le fontane dei giardini del Quirinale. Nella fontana sono rappresentati due tritoni che soffiano l’acqua in una conchiglia sostenuta da due delfini. Sopra il gruppo venne collocato lo stemma di papa Rospigliosi, sostituito nel Settecento da quello dei nuovi proprietari, i conti Antamoro. 

La fontana del Bernini
nel cortile del palazzo.
(foto M. Gradozzi)
All'inizio del Novecento il palazzo fu acquistato dall'agente di cambio Osvaldo Pardo, che fece incidere il suo nome sopra il portone d'ingresso.

lunedì 8 febbraio 2016

I delatori di malattie di piazza delle Coppelle

La lapide della chiesa di
S. Salvatore alle Coppelle
(foto Marco Gradozzi)
Sul fianco sinistro della chiesa di S. Salvatore alle Coppelle spicca una curiosa lapide in forma di cassetta postale.

ANNO IUBILEI MDCCL - QUI DEVONO METTERE I VIGLIETTI TUTTI GLI OSTI, ALBERGATORI, LOCANDIERI ED ALTRI, PER DARE NOTIZIA DE FORESTIERI CHE SI INFERMANO NELLE LORO CASE ALLA VENERABILE CONFRATERNITA DELLA DIVINA PERSEVERANZA, CON AUTORITà APOSTOLICA ERETTA A TENORE DELL’ULTIMO EDITTO DELL’EMINENTISSIMO VICARIO EMANATO IL Dì XVII DECEMBRE MDCCXLIX


La lapide fa riferimento a un editto del 1749 (vigilia del Giubileo) che puniva quei locandieri che non denunciavano la presenza di clienti malati alla Confraternita del SS. Sacramento della Divina Perseveranza. I “viglietti”, scritti dagli albergatori, venivano esaminati dai membri della Confraternita, fondata nel 1633 da monsignor Mario Fani. L’istituto, che aveva la sua sede all’interno della chiesa di S. Salvatore, forniva assistenza spirituale e materiale alle persone inferme che risiedevano negli alberghi e locande di Roma. Probabilmente l’autorità religiosa voleva tutelare un’importante fonte di guadagno come il Giubileo dal rischio di pericolose epidemie. Dal 1919 la chiesa è gestita dal clero greco-rumeno; la Confraternita non esiste più.

sabato 23 gennaio 2016

I caposaldi della rete di livellazione IGM


Piazzale Sisto V - Nel cerchio è indicato
il CSV del caposaldo principale.
(foto Marco Gradozzi)
Camminando per le strade del centro di Roma si notano spesso sui muri targhe ed etichette di ogni genere, spesso accompagnate da un numero, una sigla oppure una scritta ben definita. È questo il caso dei caposaldi (in metallo, ghisa e porcellana) che l’Istituto Geografico Militare - dal 1960 ente cartografico dello Stato - utilizza per la rete di livellazione di alta precisione. Si tratta di una rete fondamentale perché ad essa si collegano a loro volta altre reti di livellazione appartenenti al Catasto, Enti locali ed Istituti di ricerca.

Piazzale Sisto V - Il CSO del
caposaldo principale.
(foto Marco Gradozzi)
I caposaldi di livellazione, denominati CSO (acronimo di "contrassegno orizzontale") e CSV (acronimo di "contrassegno verticale"), si suddividono in “caposaldi principali” (costituiti da un CSO e un CSV posti a breve distanza) e “caposaldi di linea” (solo CSO, collocati a 1 km di distanza tra loro). Un chiaro esempio di “caposaldo principale” lo osserviamo in piazzale Sisto V, di fianco all'ingresso di Villa Dominici: il CSV (in questo caso una piastrina a mensola) è sulla parete, mentre il CSO è a terra, protetto da pozzetto in ghisa. 

Porta del Popolo - Il caposaldo
principale (CSO e CSV) è stato
posto internamente, a sinistra
della porta. (foto Marco Gradozzi)
Un altro “caposaldo principale” facilmente identificabile si trova in prossimità della Porta del Popolo.

Piazzale Sisto V - Il CSV del
caposaldo principale.
(foto Marco Gradozzi)

S. Maria del Popolo - Un CSV
dell'IGM applicato sul lato
destro della facciata.
(foto Marco Gradozzi)

lunedì 14 dicembre 2015

Il Portus Tiberinus

L'area dell'antico Portus Tiberinus (immagine Google Earth)
All'inizio degli anni Trenta l’area situata tra via di Ponte Rotto e vicolo della Catena (chiesa di S. Nicola in Carcere), nel quartiere detto dei Pierleoni, fu destinata al palazzo dell’Anagrafe di Roma. Nel 1935 l’ispezione delle cantine degli edifici interessati aveva rivelato la presenza delle antiche strutture del Portus Tiberinus, il più antico porto di Roma. Quando tutti gli edifici furono demoliti (1936) fu possibile realizzare la planimetria dei resti dell’antico scalo portuale. La pianta ha rivelato un quartiere composto da otto isolati separati tra loro da strade e porticati. 

Planimetria degli otto isolati (in numeri romani)
Le rovine indagate negli anni Trenta appartenevano a edifici datati alla prima metà del II secolo d.C.; questi avevano sostituito ambienti di epoca repubblicana destinati allo stoccaggio, realizzati dopo la bonifica del Velabro. Osservando la mappa si nota come l’area del Porto Tiberino sia compresa tra il vicus Iugarius e il vicus Lucceius; quest’ultimo, attraversata la Porta Flumentana, raggiungeva la riva sinistra (via di Ponte Rotto) in prossimità del Tempio di Portuno (nume tutelare dei porti), da dove era possibile attraversare il fiume grazie al Ponte Emilio (179 a.C.). 

L'area della Porticus Aemilia (Gatti)
Il ruolo sempre più importante assunto da Roma nel corso del III secolo a.C. ebbe come conseguenza una grande crescita del traffico mercantile, perciò fu individuato un approdo più comodo (lungotevere Testaccio) dove gli edili Lucio Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo (193 a.C.) fecero costruire sia il nuovo porto fluviale (l’Emporium) sia un’area di stoccaggio molto più estesa della precedente (la Porticus Aemilia).

Confronto tra i due scali portuali (immagine Google Earth)

venerdì 16 ottobre 2015

Il pittore misterioso di via di Pallacorda

Via di Pallacorda
(foto Marco Gradozzi)
Via di Pallacorda è una strada del rione Campo Marzio, tra via del Clementino e piazza Firenze. Seguendo il tracciato che parte da via del Clementino, quasi in prossimità di piazza Firenze, ci si trova di fronte a un garage piuttosto elegante, un luogo che, come spesso succede nel centro storico di Roma, ha vissuto più volte. Infatti, prima di essere occupato dal garage, il sito fu sede del Teatro della Pallacorda (1715-1936). E prima ancora, all’inizio del Seicento, lo stesso luogo era occupato da un capannone in legno all’interno del quale si giocava la pallacorda, l’antenato del tennis: fu proprio nei pressi di quel capannone che Caravaggio ferì a morte Ranuccio Tomassoni (29 maggio 1606), colpendolo con una piccola spada «nel pesce della coscia» (Ranuccio morì dissanguato perché la spada di Caravaggio colpì la zona dei genitali). Secondo alcune fonti la lite tra i due esplose per motivi legati al gioco, mentre secondo altri Caravaggio volle dare una lezione allo strafottente Ranuccio. Il tragico episodio cambiò completamente la vita del pittore, che, costretto a scappare da Roma, visse da fuggitivo gli ultimi anni della sua vita (†1610). 

La morte di Giacinto
(seguace del Caravaggio,
prima metà del Seicento)
Mettendo un momento da parte la cronaca nera, vorrei parlare di Giovanni di Andrea dell’Anguillara (1517-1572), uno scrittore che nel 1561 aveva pubblicato una particolare versione delle Metamorfosi di Ovidio. Nella sua opera alcuni miti erano stati completamente rielaborati, come ad esempio quello di Apollo e Giacinto. L’antico mito dei due amici (riproposto da Ovidio) descriveva l’ineluttabilità del destino: Apollo e Giacinto si erano sfidati nel lancio del disco ma lo strumento, lanciato da Apollo, prese una strana traiettoria a causa di Zefiro; il disco colpì mortalmente Giacinto alla testa; Apollo cercò di riportare in vita il ragazzo ma non poté nulla contro il destino; per celebrare il ricordo del giovane compagno Apollo fece nascere un fiore, simile al giglio ma rosso come il sangue di Giacinto, sui petali del quale scrisse le lettere del suo dolore (ai ai). Ebbene, nell'opera di Giovanni di Andrea dell’Anguillara la morte del giovane Giacinto non fu provocata da un disco ma dalla “palla solida” utilizzata nel gioco della pallacorda. Questo mito “attualizzato” ebbe talmente successo che fu subito riproposto da vari pittori, tra cui un anonimo seguace del Caravaggio, che realizzò il dipinto pochi anni dopo la tragica lite di via di Pallacorda. Addirittura, secondo alcuni, l’autore potrebbe essere stato presente al fattaccio svoltosi presso il capannone (forse era Francesco Boneri, conosciuto anche come “Cecco del Caravaggio”). In tal caso la citazione sarebbe duplice: la versione del mito di Apollo e Giacinto raccontata da Giovanni di Andrea dell’Anguillara e il fatto di cronaca visto “dal vivo”. 

La morte di Giacinto
(Tiepolo, 1752)
La stessa versione del mito fu dipinta da Giambattista Tiepolo nel 1752; anche in questo caso una racchetta da pallacorda è presente sulla scena.

La freccia indica il Teatro della
Pallacorda (Nolli, 1748)
Il Teatro della Pallacorda

sabato 26 settembre 2015

Il XXII porta male

La fontana delle Api, oggi in via Veneto,
era originariamente collocata all'angolo
di piazza Barberini con via Sistina
(foto Marco Gradozzi).
Quando la fontana delle Api (realizzata dal Bernini) fu inaugurata nel giugno 1644, destò molte polemiche l’iscrizione posta sulla valva superiore della fontana: “Urbano VIII P.M. costruita una fontana a pubblico ornamento dell’Urbe (si riferisce alla fontana del Tritone), a parte costruì questo fontanile per comodità dei privati, nell'anno 1644, XXII del suo pontificato”. In realtà Urbano VIII Barberini era papa da ventuno anni, infatti, l’anniversario del XXII anno di pontificato cadeva nel mese di agosto. Furono così appesi cartelli di protesta che accusavano la famiglia Barberini non solo di aver “succhiato il mondo” ma di volere anche “succhiare il tempo”. Poche settimane dopo l’errore sull'iscrizione fu corretto, tuttavia, il papa non fu fortunato perché morì il 29 luglio 1644, otto giorni prima del XXII anniversario.

lunedì 14 settembre 2015

La fontana di piazza Venezia (1592)

La vasca di piazza Venezia oggi
sul Pincio (foto Marco Gradozzi).
L’antica vasca romana attualmente collocata sul Pincio, in un piccolo slargo di viale Gabriele D’Annunzio, è ormai da decenni ai margini della vita cittadina, invisibile alla massa di gente che quotidianamente scende dal colle verso l’elegante piazza del Popolo; eppure, ne avrebbe di storie da raccontare. Nel Rinascimento era diffusa tra le famiglie romane più importanti l’abitudine di collocare una vasca antica vicino all'ingresso del loro palazzo; ovviamente la vasca era vuota poiché il ritorno dell’acqua a Roma avvenne nel periodo 1570-1612 (acqua Vergine, acqua Felice e acqua Paola). A questa moda non sfuggì neanche Paolo II Barbo (1464-1471) che, nei primi anni del suo pontificato, per abbellire la piazza su cui affacciavano palazzo Barbo e il suo viridarium, fece prelevare dalla piazza antistante la chiesa di S. Giacomo al Colosseo (non più esistente) una vasca in granito, lì pervenuta dalle Terme di Caracalla. Da quel giorno (27 gennaio 1466) la piazza (oggi nota come piazza Venezia) fu chiamata "piazza della Concha" (il latino concha indicava sia il guscio della conchiglia sia qualunque oggetto di tale forma, quindi anche una vasca). 

La vasca di Paolo III Farnese
(Van Cleef, prima del 1545)
La moda della vasca vuota contagiò anche Paolo III Farnese (1534-1549), che fece trasportare di fronte a Palazzo Farnese una vasca proveniente anch’essa dalle Terme di Caracalla (era la gemella di quella di piazza della Concha); lo spostamento avvenne sicuramente prima del 1545, data del disegno in cui Van Cleef illustra una corrida in piazza Farnese (nel disegno gli spettatori sono addirittura all’interno della vasca, probabilmente per proteggersi dal toro). 

Le vasche gemelle di piazza Farnese
nel Settecento (Vasi).
In seguito al restauro dell’acqua Vergine (1570) la Camera Apostolica stabilì che alcune piazze sarebbero state dotate di fontane: tra queste, piazza Venezia e piazza Farnese. Poco prima che l’Acqua Vergine raggiungesse palazzo Venezia (1587) l’influente cardinale Alessandro Farnese (nipote del defunto Paolo III), avendo intravisto la possibilità di avere di fronte al suo palazzo due vasche uguali, fece prelevare da piazza Venezia quella portata da Paolo II, rimpiazzandola con una vasca egizia in granito proveniente da una vigna di sua proprietà (era situata nei pressi della chiesa di S. Lorenzo fuori le Mura). Tuttavia, l’acqua Vergine non giunse mai in piazza Farnese, che fu rifornita soltanto dopo il 1612 (arrivo dell’acqua Paola tramite ponte Sisto). 

Sullo sfondo la fontana di Giacomo 
Della Porta, addossata alla facciata 
del palazzetto S. Marco in 
piazza Venezia (Vasi).
L’architetto comunale Giacomo Della Porta immaginò che la fontana di piazza Venezia meritasse un fondale strepitoso, perciò, il 4 gennaio la colossale statua di Marforio (rinvenuta presso l’arco di Settimio Severo) fu collocata accanto alla nuova vasca di piazza della Concha; incredibilmente però, qualche settimana dopo si decise di spostare l’enorme monumento sul Campidoglio. Finalmente, nel 1592 la fontana di piazza della Concha venne inaugurata; la nuova vasca in granito, addossata al palazzetto S. Marco, fu calata in una piscina scavata appositamente per adattare il suo livello a quello del condotto dell'acqua Vergine. 

Lo sfondo attuale di piazza Venezia
non è più occupato dal (demolito)
 palazzetto S. Marco, ma dal
Vittoriano (foto Marco Gradozzi).
Purtroppo la fontana divenne in breve tempo inutilizzabile, sommersa da terra e sporcizia. Nel 1860 la fontana fu smontata, mentre la vasca fu spostata sul Pincio. Nel 1941 la vasca fu arretrata di qualche metro per favorire la viabilità; nel 1951 fu ripristinata come fontana.