La fontana delle Anfore in piazza dell'Emporio. |
Vivere a Roma significa anche abituarsi
alla vista delle rovine dei monumenti, al punto che non cerchiamo neanche più
di immaginarli nel loro aspetto originario; opus reticulatum, cementicium,
bipedali, mattoni di tufo e blocchi di tufo fanno parte del nostro orizzonte quotidiano,
come i nasoni e i tombini col fascio littorio. Discutevo di questo, qualche
giorno fa, con il mio amico Bruno, osservando in piazza dell'Emporio i
malinconici resti su cui poggiava fino a qualche mese fa la Fontana delle
Anfore, opera dell'architetto Pietro Lombardi (1926). La fontana, in travertino,
è stata smontata e rimontata, dopo quasi un secolo, nella sua collocazione
originaria, in piazza Testaccio, dove verrà inaugurata tra qualche settimana
(forse). È impossibile immaginare il rivestimento di un nucleo in cementizio, così
come è impossibile immaginare la fisionomia di un essere umano osservando semplicemente le sue ossa, perciò, ecco che si manifesta l'ennesima chiave di
lettura della nostra città: Roma è anche una gigantesca necropoli di monumenti,
che metaforicamente biancheggiano, proprio come le ossa viste dal poeta Orazio
fuori da porta Esquilina, prima della rivoluzione urbanistica augustea.
La struttura in blocchi di tufo che costituiva il nucleo della fontana. |
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