Villa Pamphilj (foto Marco Gradozzi) |
Nei suoi tremila anni di
storia Roma è stata rappresentata, oltre che dalla lupa, da altri simboli che
ancora oggi ritornano attraverso le bandiere di vari stati: l'aquila e il
leone. Quest'ultimo, in particolare, è importante per ciò che ha rappresentato a
livello iconografico nella storia dell'arte della nostra città.
Leone della basilica di S. Marco (foto Marco Gradozzi) |
Il leone guardiano
del luogo sacro. Partendo dalla
credenza che i leoni nascevano con gli occhi aperti (Plutarco), era diffusa la superstizione
che questi fossero aperti sempre; ecco perché nell'antico Egitto le loro statue
venivano poste a guardia di un luogo sacro. Tale superstizione continuò anche
in epoca cristiana, come testimoniano le coppie di leoni collocate in epoca
medievale ai lati dell'ingresso delle chiese romane.
Leone dell'Iseo Campense, attualmente ai Musei Vaticani (foto Marco Gradozzi) |
Il leone simbolo di
resurrezione. Il
"Physiologus" era un bestiario alessandrino del II/IV secolo d.C. che
raccoglieva descrizioni di animali molto più antiche e spesso inattendibili; in
una di esse la leonessa partoriva morto il suo piccolo, quindi lo vegliava per
tre giorni finché arrivava il padre che gli soffiava sul volto, donandogli la
vita (Aristotele e Plinio il Vecchio). Questa antica tradizione spiega per
quale motivo il leone fosse spesso rappresentato nelle religioni salvifiche (culto
di Iside, culto di Cibele e cristianesimo).
Il leone emblema delle due nature di
Gesù. Traendo spunto dalle
conoscenze degli antichi, secondo i quali le principali qualità del leone erano
nella parte anteriore, mentre la parte posteriore era semplicemente il punto
d'appoggio terrestre, i cristiani immaginavano la parte anteriore dell'animale come
l'emblema della natura divina del Cristo, mentre la parte posteriore rappresentava
la sua natura umana.
Il leone sulla cordonata dell'antico palazzo Senatorio (Heemskerck 1535) |
Il leone simbolo della giustizia e immagine del Comune di Roma. Re Salomone ha sempre rappresentato
nell'immaginario collettivo la figura del re giusto. Grazie alla Bibbia (Libro
dei Re) si diffuse la descrizione del suo trono; per raggiungere il sedile
regale si dovevano salire sei gradini, su ciascuno dei quali erano collocati
due leoni. I dodici leoni del trono furono in seguito interpretati come i dodici
apostoli. Il racconto biblico ispirò probabilmente le autorità comunali romane (1143),
che decisero di segnalare con una statua di leone (attualmente nei Musei
capitolini) il luogo in cui si leggevano le sentenze e si eseguivano le
condanne capitali (la cordonata dell'antico palazzo Senatorio sul Campidoglio).
Da quel momento in poi l'immagine del leone, simbolo di giustizia e di
potenza, divenne il simbolo del Comune di Roma (gonfaloni e monete). L'identificazione
del Comune con il suo simbolo era talmente forte che un leone in carne ed ossa ebbe
per circa tre secoli (fino al 1414) un custode e una gabbia sul Campidoglio. Dal
racconto di Giuseppe Baracconi (I rioni di Roma, pp. 340-341) emerge l'abitudine
dei Comuni medievali ad esibire vivi gli animali che erano rappresentati nello
stemma cittadino. Nel 1414 avvenne un fatto che pose fine alla permanenza del
leone sul colle capitolino: un ragazzo disattento, avvicinatosi troppo alla
gabbia, fu dilaniato dagli artigli della bestia. L'animale fu ucciso e le sue
spoglie furono donate al caporione di Ripa, che le seppellì in un giardino di
Trastevere. Nel 1471, ad opera di Sisto IV, si verificò il cambio iconografico
che tuttora sopravvive: la lupa spodestò il leone. In quell'anno il papa aveva
deciso di donare al popolo di Roma le antiche opere bronzee fino ad allora
conservate nel Patriarchio del Laterano; la sede prescelta fu il palazzo dei
Conservatori, che divenne così il più antico museo pubblico del mondo. La famosa
lupa di bronzo (che non è etrusca ma carolingia), dopo quattro secoli di permanenza
sul Laterano (nel luogo in cui si amministrava la giustizia), fu collocata sulla
facciata del palazzo dei Conservatori, diventando il nuovo simbolo della città.
Trasformare il palazzo dei Conservatori in un museo, e addirittura cambiare il simbolo
cittadino, sancì la fine (anche iconografica) dell'autonomia comunale dal
potere ecclesiastico.