Via di Pallacorda (foto Marco Gradozzi) |
Via di Pallacorda è una strada del rione Campo
Marzio, tra via del Clementino e piazza Firenze. Seguendo il tracciato che
parte da via del Clementino, quasi in prossimità di piazza Firenze, ci si trova
di fronte a un garage piuttosto elegante, un luogo che, come spesso succede nel
centro storico di Roma, ha vissuto più volte. Infatti, prima di essere occupato
dal garage, il sito fu sede del Teatro della Pallacorda (1715-1936). E prima
ancora, all’inizio del Seicento, lo stesso luogo era occupato da un capannone
in legno all’interno del quale si giocava la pallacorda, l’antenato del tennis:
fu proprio nei pressi di quel capannone che Caravaggio ferì a morte Ranuccio
Tomassoni (29 maggio 1606), colpendolo con una piccola spada «nel pesce della coscia» (Ranuccio morì dissanguato
perché la spada di Caravaggio colpì la zona dei genitali). Secondo alcune fonti la
lite tra i due esplose per motivi legati al gioco, mentre secondo altri
Caravaggio volle dare una lezione allo strafottente Ranuccio. Il tragico episodio
cambiò completamente la vita del pittore, che, costretto a scappare da Roma,
visse da fuggitivo gli ultimi anni della sua vita (†1610).
La morte di Giacinto (seguace del Caravaggio, prima metà del Seicento) |
Mettendo un momento
da parte la cronaca nera, vorrei parlare di Giovanni di Andrea dell’Anguillara
(1517-1572), uno scrittore che nel 1561 aveva pubblicato una particolare versione
delle Metamorfosi di Ovidio. Nella
sua opera alcuni miti erano stati completamente rielaborati, come ad esempio
quello di Apollo e Giacinto. L’antico mito dei due amici (riproposto da Ovidio)
descriveva l’ineluttabilità del destino: Apollo e Giacinto si erano sfidati nel
lancio del disco ma lo strumento, lanciato da Apollo, prese una strana traiettoria a causa di Zefiro; il disco colpì mortalmente Giacinto alla testa; Apollo cercò di
riportare in vita il ragazzo ma non poté nulla contro il destino; per celebrare
il ricordo del giovane compagno Apollo fece nascere un fiore, simile al giglio
ma rosso come il sangue di Giacinto, sui petali del quale scrisse le lettere
del suo dolore (ai ai). Ebbene, nell'opera di Giovanni di Andrea dell’Anguillara la morte del giovane Giacinto non fu provocata da un disco ma dalla
“palla solida” utilizzata nel gioco della pallacorda. Questo mito “attualizzato”
ebbe talmente successo che fu subito riproposto da vari pittori, tra cui un
anonimo seguace del Caravaggio, che realizzò il dipinto pochi anni dopo la tragica
lite di via di Pallacorda. Addirittura, secondo alcuni, l’autore potrebbe
essere stato presente al fattaccio svoltosi presso il capannone (forse era Francesco
Boneri, conosciuto anche come “Cecco del Caravaggio”). In tal caso la citazione
sarebbe duplice: la versione del mito di Apollo e Giacinto raccontata da Giovanni
di Andrea dell’Anguillara e il fatto di cronaca visto “dal vivo”.
La morte di Giacinto (Tiepolo, 1752) |
La stessa
versione del mito fu dipinta da Giambattista Tiepolo nel 1752; anche in questo
caso una racchetta da pallacorda è presente sulla scena.
La freccia indica il Teatro della Pallacorda (Nolli, 1748) |
Il Teatro della Pallacorda |
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